VELTRONI, ANDREOTTI E LA RAI. GLI AVVINCENTI RETROSCENA DI PEDULLA'
Huffington Post - 23 gennaio 2021
Può l’autobiografia di un professore universitario avvincere come un romanzo e commuovere fino alle lacrime? Sì, se l’autore è Walter Pedullà, il meno sussiegoso tra i pesi massimi della nostra
critica letteraria. A Pedullà dobbiamo una generosa e non ancora vinta battaglia in favore del capolavoro di Stefano D’Arrigo Horcynus Orca; saggi sugli scrittori sperimentali e sulle
armi del comico; un profilo del novecento italiano schierato ma plausibile. Pedullà eccelle nello sviscerare i significati culturali delle opere letterarie e nel farsi comprendere dai lettori
comuni. La sua scrittura è vivace, schietta, appassionata.
Il pallone di stoffa. Memorie di un nonagenario (edito da Rizzoli) è il bilancio provvisorio di un vecchio che continua a stupirsi: come è stato possibile che quel ragazzo calabrese,
figlio di un umile sarto di paese, sia diventato il presidente della Rai? Ricche di retroscena sono le pagine dedicate alla sua carriera di uomo di potere culturale, in rapporto dialettico con i
politici di turno. Quando era presidente del Teatro di Roma, come direttore artistico voleva chiamare il sommo Vittorio Gassman, dovette soccombere alla superiore volontà di Walter Veltroni e
venne nominato il regista Mario Martone.
Pedullà non recita la parte del vecchio saggio, le sue scarpe sono piene di sassolini, così agli affettuosi ritratti degli scrittori visti da vicino si affiancano zampate corrosive. Ecco Angelo
Guglielmi, direttore di Rai 3, che gli rema contro pur essendo un suo raccomandato, o il critico Cesare Garboli che in piena Tangentopoli cerca di ferire Pedullà con uno sfottente «Ecco il
socialista!». Vivide le pennellate su Giulio Andreotti: «Uno che prendeva appunti per non dimenticare ciò che non andava detto».
Molte pagine rievocano il critico Giacomo Debenedetti, di cui Pedullà fu allievo all’università di Messina e assistente a Roma. Nel 2004, nel saggio Il Novecento segreto di Giacomo
Debenedetti, Pedullà scriveva che in gioventù il suo professore lo incitò a pazientare, perché il meglio sarebbe arrivato molto più tardi: «Non ricordo se nominò il traguardo, ma io è da
allora che corro nella stessa direzione sperando che si avveri la profezia di Debenedetti». Il nonagenario Pedullà dialoga ancora con il suo maestro.
A proposito di maestri, mi ha molto toccato il ricordo degli ultimi difficili anni di Giuseppe Bonaviri. Lo scrittore abitava a Frosinone, ma come me era figlio di Mineo. Una domenica del 1993 lo
andai a trovare per fargli leggere le mie prime prove poetiche. La signora Lina preparò un magnifico arrosto in crosta di pane, a tavola bevemmo acqua e limone, Peppino mi disse che per avere un
giudizio infallibile dovevo interpellare Walter Pedullà. Il critico calabrese mi diede preziosi consigli e mi raccomandò di andare oltre il novecento.
Con un poco di ritardo il novecento sta finendo, ora viene il difficile: dobbiamo procedere senza maestri, senza dimenticare le loro lezioni.
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