NON HO NIENTE CONTRO I TRAPPER A SANREMO.
MA SI CONVERTANO AL DUDUDADADA'
Huffington Post - 20 febbraio 2021
Nel secolo scorso un celebre cantautore affermò: «Sono favorevole al Festival di Sanremo, purché non si faccia a Sanremo e non si chiami Festival di Sanremo». Voleva un festival diverso, dedicato alla musica leggera di qualità. Per quanto mi riguarda Sanremo va bene così come è. Durante la settimana festivaliera mi piace sentirmi nazional-popolare e sovranista. Un italiano vero. Mi piacciono gli aspiranti suicidi fasulli, la retorica familista, le classifiche taroccate. In quella settimana le canzoni intelligenti mi infastidiscono, del resto è troppo facile brillare misurandosi con chi deliberatamente sceglie di volare basso.
Il Festival della canzone italiana di Sanremo mantiene quello che promette: canzoni italiane. La nostra identità musicale nazionale affonda le radici nel melodramma e nella canzone napoletana classica, le melodie sanremesi attualizzano quelle gloriose tradizioni. Non mi sorprende che in Russia o in Kazakistan vadano forte Toto Cutugno o Al Bano e Romina Power, anziché certe nostrane rimasticature delle mode musicali angloamericane. Sul palcoscenico del Teatro Ariston, nel 1986, Sergio Endrigo cantò una magistrale autodescrizione della Canzone italiana: «Una canzone che ti va diritta al cuore / La senti per la strada e un momento ti commuove / Due note, due parole già sentite chissà dove / Una canzone che regala l’illusione / L’amore passeggero più leggero di una piuma / L’amore disperato che ti lascia senza fiato / Una canzone un po’ ruffiana…».