MANLIO SGALAMBRO NON FU LA YOKO ONO DI FRANCO BATTIATO
Huffington Post - 29 maggio 2021
Lo scrittore Aldo Busi, anni fa, definì scherzosamente Manlio Sgalambro la Yoko Ono di Franco Battiato. Una battuta destinata ad avere successo: diversi ammiratori del cantautore ritengono
che Sgalambro lo condusse fuori strada.
In verità al filosofo lentinese Battiato deve molto. Gli deve gli eleganti testi di due dei suoi migliori album, ovvero L’ombrello e la macchina da cucire e L’imboscata. Gli
deve le parole della canzone La cura: «Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza / Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza / I profumi d’amore inebrieranno i
nostri corpi / La bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi». Gli deve l’ispirato libretto dell’opera Il cavaliere dell’intelletto. Indubbiamente le loro ultime collaborazioni
produssero risultati meno felici, ma la minore riuscita espressiva non riguardava soltanto i testi.
Sgalambro non fu la Yoko Ono di Battiato, fu un rispettabile filosofo al quale il successo come paroliere in un certo senso finì per nuocere. Lo Sgalambro pop mise in ombra lo spessore
filosofico dei suoi libri. Forse anche la bellezza della sua scrittura distrasse l’attenzione dai contenuti.
Un valido aiuto alla comprensione del filosofo resta il saggio Introduzione a Sgalambro di Antonio Carulli (lo pubblicò Il melangolo nel 2017). Si tratta di una accurata biografia
intellettuale che indaga luci e ombre della variegata produzione sgalambriana, privilegiando le opere di più ampio respiro come La morte del sole e Trattato dell’empietà.
Il cinismo professato da Sgalambro è una sorta di autodifesa dell’individuo di fronte al perfetto nichilismo dell’odierna città mondiale. Nella troppo secolarizzata società occidentale,
l’empietismo è la carta da giocare per salvaguardare un residuo di metafisica: non potendo più amare Dio, bisogna almeno odiarlo per mantenere un rapporto assoluto che altrimenti
scomparirebbe nella miscredenza generalizzata. Quello di Sgalambro è un pensiero drammatico ma non sfiduciato.
Rilevanti mi sembrano anche i suoi scritti musicologici Teoria della canzone e Contro la musica. Il filosofo stigmatizza l’ascolto sociale della musica e la sua
volgarizzazione da linguaggio metafisico a baccano universale. Per Manlio Sgalambro l’ascoltatore consapevole – l’ascoltatore ascetico – deve mirare a trascendere persino la bellezza della
musica: «Chi ascolta veramente, ascolta l’ascolto. Chi ascolta veramente, ascolta la fine del mondo».