LUCIO BATTISTI, 50 ANNI FA: QUANDO SI PALESO' L'ACME DEL SUO TALENTO
Huffington Post - 8 gennaio 2022
Nella carriera di un grande artista esiste il momento dell’autorivelazione, quel momento in cui egli diventa veramente consapevole delle proprie potenzialità, acquista sicurezza e con
impudenza osa rivelare al mondo tutto il proprio talento. Il punto di maturazione di Lucio Battisti si palesò cinquant’anni fa, quando uscirono nello stesso anno i memorabili album
Umanamente uomo: il sogno e Il mio canto libero.
Chi come me, per ragioni anagrafiche, scoprì Lucio Battisti negli anni ottanta o novanta grazie agli album bianchi con i testi di Pasquale Panella, si trovò a leggere la carriera battistiana
da un punto di vista ribaltato rispetto a chi quegli album li visse come uno shock estetico e spesso li trovò indigesti. Noi andammo alla scoperta delle vecchie canzoni di Battisti cercando
in esse quella irrequietudine sperimentale che ci aveva incantati in Don Giovanni o in Cosa succederà alla ragazza: e la trovammo. Nelle canzoni battistiane degli anni
sessanta e settanta è impressionante la varietà di generi, di registri stilistici, di strutture formali. Il cantautore scocca tante frecce che fanno centro.
Rispetto all’astrazione vocale degli album bianchi, il canto del primo Battisti risulta meno innovativo, ma sarebbe improprio definire classica la drammaturgia canora di un pezzo come I
giardini di marzo, in cui Battisti emoziona spaziando dal recitar cantando iniziale («Il carretto passava e quell’uomo gridava “Gelati” / Al ventuno del mese i nostri soldi erano già
finiti / Io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti / Il più bello era nero coi fiori non ancora appassiti») al dispiegamento vocale del ritornello. Si tratta di un canto sporco,
malcerto, impastato di ansia, che magnificamente materializza la paura di vivere di cui parla il testo.
Mogol nelle sue canzoni non si espone mai in prima persona, adotta una maschera, racconta microstorie o fotografa impressionisticamente un determinato stato d’animo di un determinato
personaggio. Certe accuse di maschilismo erano ridicole: maschilisti erano semmai i personaggi delle canzoni.
Il periodo mogoliano e il periodo panelliano hanno stili musicali molto diversi ma non antitetici. Riascoltando per esempio la canzone Innocenti evasioni del 1972, mi sembra di
scorgervi non poche analogie con La moda nel respiro, canzone del 1994 contenuta nell’ultimo album Hegel: entrambe hanno una introduzione strumentale rilassata con
effervescenti pennellate ritmiche, delle strofe distese e piene di brio, un ritornello incalzante in cui la voce svolazza divertita e divertente, certe tortuosità metriche… La classicità del
primo Lucio Battisti è pura apparenza.